Cosa è successo alla Protezione Civile
Troppi vincoli ne limitano la capacità di intervento
Prendersela con la Protezione Civile per i mancati interventi nelle calamità che azzoppano il Paese, forse, è troppo facile. O almeno cosi sembra valutando i cambiamenti dovuti alla legge 10 del 2011 che, di fatto, non rende più operativo l’ente durante le emergenze. Dopo anni di sprechi e super poteri, è arrivata la stagione delle ingessature decisionali e di spesa, che ne limitano il potere d’intervento. Come ha fatto notare l’ex direttore del Sisde, già prefetto, Franco Gabrielli, che ne è attualmente a capo, durante l’emergenza romana la macchina della Protezione Civile non ha funzionato, perché non messa in condizione di farlo.
Fino al febbraio 2011, l’organo preposto alla gestione delle crisi, poteva dichiarare lo stato d'emergenza programmando, con l'ordinanza, gli interventi da fare e le spese da sostenere, dando poi il Ministero dell'Economia la copertura di spesa. Con l'entrata in vigore del Milleproroghe lo scorso anno, la Protezione Civile è commissariata: deve agire di concerto col Ministero dell’Economia e delle Finanze, e previa valutazione della Corte dei Conti. Non solo. Alla dichiarazione dello stato di emergenza è connesso un potere/dovere di spesa che è vincolato sia alle Regioni sia al Fondo Nazionale per la protezione civile che deve essere sempre ripianato.
Il Ministero dell’Economia ha anche accesso ai fondi regionali, ma tutti gli atti di tutti i commissari devono ricevere il visto preventivo della Corte dei conti, cui si danno 37 giorni per dare il suddetto parere. Contando gli stati emergenziali, che nel 2011 a inizio anno erano una settantina, e il fatto che la Corte dei Conti non lavora solo su questo ambito di interesse, i conti non tornavano già un anno fa. Le criticità insomma non mancano e da ripensare sono anche gli assetti interni: se deve restare sotto il controllo della Presidenza del Consiglio o passare al Ministero dell’Interno.
Dopo la stagione Bertolaso, con molti successi ma anche oneri e ombre, era logico il ripensamento che però, superato lo spauracchio di renderla una s.p.a. ancora più potente, l’ha resa quasi inerme davanti alle grandi sciagure italiane che, logicamente, spesso non sono prevedibili. Prendiamo a modello l’ultimo caso celeberrimo, il Giglio e la Concordia. Gabrielli si è presentato sulla scena del disastro, in qualità di Commissario delegato, solo dopo che il 20 gennaio il Consiglio dei ministri aveva approvato la dichiarazione dello stato d'emergenza. Il problema nasce da una riforma che non ha ridisegnato con confini rigidi il perimetro d’azione ma obbliga comunque alla richiesta del timbro preventivo del Ministero dell’Economia per qualunque spesa. Quindi la Protezione civile ha competenze che vanno ancora dalle Olimpiadi al terremoto, ma se c’è una calamità per intervenire serve l’ok del titolare del dicastero di via XX Settembre.
Lo scetticismo di Gabrielli si era già levato nel 2011, pochi giorni prima che il Parlamento si apprestasse a varare a mettere mano alle legge 225 del 1992 con riforme che sembravano appunto molto discutibili. Alla vigilia dell'approvazione del Milleproroghe, Gabrielli scrisse una lettera al Presidente del Consiglio Berlusconi, al ministro dell'Economia Tremonti, al Presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, per denunciare che la "Protezione civile rischiava di affondare come il Titanic".
Secondo il Ministero dell'Economia, con una nota in risposta alla lettera di Gabrielli, non c’era "nessuna novità rispetto allo sperimentato ed efficace schema di intervento d'urgenza applicato, da ultimo, a L'Aquila. La novità viene dopo: le ordinanze successive all'emergenza dovranno, senza più eccezioni, essere riportate allo schema ordinario dei controlli amministrativi e giurisdizionali previsti a miglior tutela del denaro del contribuente". Il nodo era quello che anche adesso genera problemi: aver toccato il core business del sistema Protezione Civile, che necessita una tempistica non maggiore di 36 ore.
Però, non si toccava l’articolo 5 bis della legge 401 del 2001, che estendeva la possibilità di utilizzare le ordinanze di protezione civile ai grandi eventi. Il prefetto, dodici mesi fa, si chiedeva anche dove andassero a finire le responsabilità delle rappresentanze intermedie, e non solo quelle del Dipartimento e del volontariato. Ovvero, i sindaci che “hanno incarichi importanti in materia ma raramente ne sono consapevoli”. Parole che tornano quanto mai attuali oggi, dopo gli epocali scontri con Gianni Alemanno, e che servono anche a far chiarezza su un altro punto: come mai molti governatori di Regione durante il maltempo non hanno chiesto lo stato di emergenza? Perché lo stesso determina un immediato innalzamento delle accise sulla benzina, che certo non fa piacere data la congiuntura e non è moneta spendibile, verso l’elettorato, al prossimo giro di votazioni. Il cittadino paga sempre insomma, sia per la calamità evitata sia per quella in atto ma che non può essere contenuta se prima il Ministero dell’Economia non approva di elargire il denaro del contribuente stesso. E intanto, una delle poche eccellenze italiane rimaste, cede il passo alla malapolitica. |